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Commento alle osservazioni di Costanza Miriano

Commento alle osservazioni di Costanza Miriano

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Grazie Costanza! Nella tua audizione alla Camera sul Family act hai espresso con la tua capacità comunicativa tutto quanto noi, come associazione, cerchiamo di spiegare dal 2004 ai politici di ogni orientamento. Finora invano. Qualche bonus, qualche mancetta – come dici tu – come fosse un regalo. Per lo Stato italiano i figli sono un bene del tutto privato e se hai voluto la bicicletta….

Hai scritto da donna e da madre, ma, lasciatelo dire, hai scritto da statista. Poiché di statisti nel nostro panorama politico non se ne vedono, speriamo almeno che le donne che stanno in Parlamento meditino sulle tue parole e facciano massa critica rispetto a chi ha davvero il potere decisionale, il capo del Governo e il Ministro dell’Economia.
Perché oggi la vera “rivoluzione femminista” si può fare solo rivendicando il valore più alto che contraddistingue una donna e solo lei: la maternità, cioè la possibilità di generare nuovi uomini e nuove donne, i cittadini che domani porteranno avanti la nazione.
Che altrimenti morirà.

Carlo Dionedi
Responsabile Unità politica Anfn

 

In Italia le famiglie sono lasciate troppo sole

La Commissione Affari Sociali  della Camera dei Deputati, mi ha invitata a un’audizione sul ddl del ministro Bonetti, il cosiddetto family Act.
Ecco cosa ho cercato di dire (in sette minuti…).

Fiscalità

Cosa ha spinto mia nonna, una donna colta e intelligente, preside e insegnante di francese, a fare il quinto figlio sotto le bombe della seconda guerra mondiale? Cosa ha spinto tutti i genitori delle generazioni passate? Pensare che fosse solo un problema di contraccezione è riduttivo e offensivo per il loro modo di stare al mondo. Era la certezza che fare figli fosse una cosa buona, non una minaccia. È quello che ancora oggi sperimentano tutti coloro che accolgono un figlio, se riescono a smontare tutti i messaggi contrari da cui vengono bombardati in ogni modo dal pensiero unico.

Sono infatti certa che prima ancora che economico il problema della nostra denatalità che ci sta portando all’estinzione sia culturale.

Siamo il paese che fa meno figli al mondo, ma non siamo il più povero: mi pare evidente che il problema alla radice non sia solo economico, ma anche culturale. La legge fa cultura. Bisogna cambiare mentalità e affermare con forza che la famiglia è un bene collettivo. Non sono solo fatti tuoi se fai un figlio: stai facendo un favore a tutti, stai mettendo al mondo un lavoratore che pagherà le pensioni, una persona che potrà rendere il mondo migliore.

La famiglia è il luogo migliore dove le persone possono crescere e formarsi, accompagnate dall’uomo e dalla donna che le hanno generate, e questa è la seconda cosa da affermare con forza. I figli sono un bene. La famiglia è un bene.

Nella cultura dominante – nei media e nell’intrattenimento – la famiglia viene invece invariabilmente raccontata come un luogo triste e di oppressione o nevrosi, salvo quella allargata o “irregolare” in vari modi, che allora magicamente viene ritratta come allegrissima. Mentre se ci liberiamo delle resistenze ideologiche e dell’avversione culturale per tutto ciò che ha un sapore vagamente “tradizionale”, dobbiamo riconoscere un dato di fatto incontrovertibile. I figli nascono dall’unione di un uomo e di una donna, e quando possono crescere insieme al loro padre e alla loro madre, in condizioni di satbilità affettiva ed economica, è un bene per tutti. E’ un fatto naturale, senza bisogno di scomodare le appartenenze, la destra o la sinistra, la fede.

E’ compito dello Stato affermare questo e cercare di favorire la famiglia su tutte le altre forme di aggregazione, non per un puntiglio ideologico, ma come fatto incontrovertibile da un punto di vista razionale. Tutti i bambini vogliono stare col padre e la madre, e crescono più sani, scolarizzati, capaci di rispettare le regole della convivenza civile.

In Italia le famiglie sono lasciate completamente da sole. In tutti i paesi europei in cui ho conoscenze dirette, le mie colleghe, mamme e spesso anche lavoratrici, mi testimoniano che il fatto che l’avere figli è una questione collettiva: non sono fatti tuoi,
e quindi non ti devi arrangiare come meglio puoi, come sostanzialmente accade in Italia. Piccoli esempi concreti: in Germania indipendentemente dal reddito ti mandano le baby sitter a casa, nei paesi scandinavi il corredino, in Francia con quattro figli praticamente non paghi tasse, in Inghilterra i sussidi sono così corposi che le famiglie povere fanno figli per mantenersi, che è un’aberrazione, ma dà una misura di quanto i figli siano considerati, in Olanda se chiedi il part time per motivi familiari non è a discrezione del datore di lavoro, ne hai diritto punto e basta (quando ho raccontato che da noi è difficile ottenerlo mi hanno guardata come se parlassi dell’infibulazione delle bambine, come se venissi da un paese arretrato e incivile). Questo è quello che mi testimoniano le amiche in giro per l’Europa. In tutti i paesi, comunque, c’è una tassazione completamente diversa se hai figli o non li hai.

In Italia, no, se hai figli sono fatti tuoi. Le detrazioni fiscali oggi sono ridicole, basta che un figlio vada dal dentista, uno dal logopedista, uno faccia inglese – che non è un lusso ma una competenza necessaria nel mondo del lavoro – e le detrazioni annuali se ne sono andate in poco più di un mese. Per farli mangiare, vestire, comprare i libri, andare al museo te la devi vedere con la parte dello stipendio – circa la metà – che è sfuggita a una pressione fiscale altissima, come se quelli fossero lussi. Per non parlare della casa più grande, della macchina (noi abbiamo quattro figli e ci è servita una macchina da sette posti, usata, ovviamente impossibile per noi comprarla nuova, pur avendo due stipendi medi), dei costi di gestione familiare, baby sitter, consumi casalinghi, della possibilità di viaggiare, di fare corsi ed esperienze culturali che possano mettere tutti i ragazzi che mostrino  buona volontà nelle stesse condizioni, indipendentemente dal censo, rispetto al mondo del lavoro, e via dicendo.

Trovo profondamente ingiusto che tra me e una mia collega che ha scelto di non avere figli, alla quale i miei figli pagheranno la pensione, ci sia un dislivello di tenore di vita macroscopico.

Il punto è proprio questo, però: secondo me bisogna uscire dalla logica dell’assegno, o delle detrazioni legate a specifiche attività o spese, come se lo Stato mi facesse dei regali, ed entrare nella logica che la famiglia deve, ha un sacrosanto diritto ad avere una base di reddito del tutto intoccabile dalle tasse – credo si dica no tax area – perché non devono essere neppure sfiorati dalle tasse i soldi che mi servono per sfamare, vestire, curare e istruire i miei figli, ma anche riscaldarli, avere una casa di una misura adeguata, dare loro la possibilità di fare qualche vacanza, tutti i soldi che sono legati alle spese della normale gestione familiare. E questo deve valere per tutti, ricchi e poveri (i quali poi verranno sostenuti anche con un sostegno specifico per la povertà, ma quello è un altro tema).

Serve una rivoluzione copernicana. Non può esistere che lo Stato mi prenda metà dello stipendio che mi guadagno lavorando, e poi mi restituisca i soldi, una parte minima di quelli che spendo per i miei figli, come se mi facesse un regalo. Non ha alcun senso, è un furto. Bisogna mettere la famiglia come priorità, quei soldi sono dei miei figli, dei nostri figli, non possono essere un regalo che lo Stato ci fa a fronte di ricevute e dimostrazioni varie. Come faccio a dimostrare che mi serve una casa grande non perché voglio l’angolo palestra, ma perché ci devono dormire i miei figli?

Ripeto: si calcoli quanto costa un figlio al quale una famiglia possa garantire un regime di vita medio, dignitoso. Si moltiplichi per il numero dei figli. Ecco, quell’ammontare deve essere totalmente detassato. Il mio stipendio raddoppierebbe, eppure non sto ricevendo un regalo, sto  costruendo una civiltà migliore, sto allevando coloro che pagheranno le pensioni anche di chi non ha avuto figli, e sto anche assolvendo a un mio dovere previsto dalla Costituzione. Oggi invece le detrazioni per i figli sono ridicole, quasi offensive come importo, e non sarete all’oscuro del fatto che favoriscono i conviventi sugli sposati, i quali sommano i redditi e hanno quindi agevolazioni (tipo gli assegni familiari) molto inferiori. Allo stesso modo sono esentati dall’Imu due conviventi che abbiano due case, mentre due sposati non lo sono. Non è un mio problema, di casa ne ho una sola, ma trovo comunque ingiusto che i conviventi abbiano privilegi rispetto agli sposati, in molti campi, per esempio anche nelle graduatorie degli asili eccetera. Tutto questo sempre perché la famiglia è percepita non come una entità da favorirein tutti i modi, ma anzi quasi come un soggetto privilegiato da demolire.

Disabilità

Le tutele e gli aiuti sono pochi, e quei pochi sono sepolti sotto chili di carte bollate. Spesso i genitori, anche se colti e preparati, non sanno a cosa abbiano diritto, non per incompetenza, ma perché è difficile reperire informazioni, e trovarle che non siano discordanti. Superare i muri e gli ostacoli che a volte sembra quasi certi uffici si divertano a mettere, senza capire cosa possa significare per un genitore di un disabile e magari anche altri figli prendersi una mattina per andare per uffici,e  scoprire che è tutto vano perché manca un timbro. Lo trovo un fatto gravissimo, e anche facilmente ovviabile creando una figura che ne sopprima altre e che possa fungere da collegamento tra comune, inps, asl e via dicendo. Credo che il livello di una civiltà sia verificabile da come vengono trattati i più deboli.

Lavoro femminile

Quanto al resto, l’impianto della legge mi pare viziato da un pregiudizio di fondo: mi pare che venga completamente trascurata una grande fetta di donne che invece, per la mia esperienza diretta sul campo, è tutt’altro che minoritaria, e cioè le donne che vogliono essere libere di decidere se e come fare le madri, e non costrette a lavorare dal bisogno. La vita lavorativa di una donna è segnata dalle fasi, esattamente come quella biologica (perché la biologia esiste, mette dei limiti naturali alle nostre idee di vita), e il lavoro dovrebbe prevedere e integrare queste fasi differenti, permettendole di gestire la cura degli affetti.

Incontro (incontravo, prima del covid,e spero di riprendere presto a farlo) migliaia di donne ogni anno, facendo in media un viaggio a settimana in tutto il paese. La maggioranza delle donne che incontro desiderano essere più presenti a casa con i figli, e non sollevate dalle incombenze educative, soprattutto nella fascia di età 0-3 anni (bambini che nel ddl vengono definiti bisognosi di luoghi di aggregazione, mentre tutte le mamme e moltissimi studi testimoniano che prima dei due anni e mezzo, tre, i bambini hanno bisogno soprattutto della mamma, e non di socializzare). Sembrerà incredibile ai legislatori, ma stare con i bambini è bellissimo, è un privilegio e non un aggravio di cui liberarsi. Casomai bisogna aiutare le mamme sole perché a volte il carico è pesante, ma non mandandole al lavorare.

Forse chi mi conosce penserà che questa mia posizione derivi dalla mia formazione – a volte la mia fama di “cattolica oscurantista e bigotta” mi precede – ma io so con certezza che ci sono tantissime donne, a mio parere la maggioranza, che starebbero volentieri a casa coi bambini piccolissimi, se tutelate e garantite. Questa è stata anche la mia esperienza, da giovane giornalista Rai precaria, costretta dalla necessità economica ad accettare dei contratti di lavoro quando i miei figli avevano quattro mesi, e si nutrivano solo del mio latte. Se non avessi accettato non sapevo se avrei avuto un’altra offerta di lavoro, essendo precaria, e questa è una condizione comunissima visto che gli anni della fertilità femminile coincidono – per come è organizzato in Italia il mondo del lavoro – con gli anni del lavoro flessibile e precario (la fertilità femminile però si dimezza dopo i 35 anni).

Quanto sarebbe difficile dare a un giovane negli anni della sua formazione il posto di una neomamma, che potrebbe tirare la cinghia per qualche anno, se solo avesse la certezza di non perdere il posto? Oppure, permettere a una mamma di lavorare solo quattro ore, per assegnare il resto dell’orario a un giovane? Perché pensare solo alle mamme che vogliono lasciare figli piccolissimi e bisognosi di latte e cure materne? Perché non pensare anche a quelle che vogliono essere presenti con i propri figli? Il part time, se richiesto, innanzitutto dovrebbe essere dato obbligatoriamente e non a discrezione del datore di lavoro. L’asilo nido non è una scelta naturale, e di certo non è l’unica possibile.

La vera parità tra uomo e donna non si ottiene costringendo le donne a comportarsi come uomini, ma tenendo conto del fatto che a noi sta a cuore anche il lavoro di cura, e che la nostra presenza nel mondo del lavoro deve essere modulata con i tempi della vita: gli anni dei bambini piccoli non potranno essere intensi come i primissimi anni, quelli di formazione, o quelli in cui i figli poi cominciano a essere autonomi.

Per esempio, a una mamma che decidesse di stare a casa potrebbe essere trasferito per intero l’importo delle rette degli asili nido che il ddl prevede di erogare, visto che fa risparmiare lo Stato. Potrebbero essere riconosciuti ulteriori sgravi fiscali al padre dei bambini, oppure un assegno alle mamme che decidono di non pesare sulle strutture pubbliche per la cura dei figli, con un reddito di maternità.

Certo, quando il lavoro da conciliare è ben retribuito, gratificante, intellettualmente stimolante  molte donne desiderano essere aiutate a conciliarlo con la maternità (sebbene non tutte: molte mie colleghe giornaliste si sono prese periodi di anni interi a casa, quando erano garantite a tempo indeterminato). Le mamme abbienti, magari libere professioniste, hanno la possibilità di organizzarsi, non vanno in tilt se c’è una riunione a scuola o se il bambino ha la febbre. Ma davvero credete sinceramente, onestamente, che una donna preferisca fare, che so, la commessa, la barista, la donna delle pulizie, piuttosto che stare a casa ad allattare il suo bambino? E non voglio offendere questi lavori dignitosissimi, né sminuirli, ma è ovvio che le mamme li facciano per necessità, e che se potessero scegliere rimanderebbero di anni il loro rientro nel mondo del lavoro. Quindi per favore non diamo per scontato che per tutte le madri lasciare i figli ad altre persone sia la migliore delle opzioni. La politica a volte sembra non conoscere la realtà della gente comune, ma solo quella rappresentata sui media.

Libertà educativa

Sempre nell’ottica di valorizzare la famiglia bisogna sostenerla nelle sue scelte educative, e quindi prevedere un costo standard per l’educazione, da dare ai genitori che decidano di non far frequentare le scuole statali ai prorpi figli, sollevando le casse pubbliche da una spesa che deve esere restituita alla famiglia, perché possa pagare almeno in parte la retta delle scuole paritarie. L’educazione non è neutra, è figlia di una visione del mondo, e quella che oggi la scuola statale propone è per me molto discutibile, ideologicamente a senso unico. Trovo una forma di violenza imporla alle famiglie che non possano permettersi altro. In questo senso, trovo sconcertante la proposta di finanziare e rendere obbligatori sin dalla scuola elementare i corsi di indottrinamento sul gender previsti dal ddl Zan. La sessualità è un tema niente affatto neutro, e non può essere imposta a scuola senza informare i genitori, averne il consenso. La scuola non dovrebbe indottrinare, infilare nelle teste dei ragazzi contenuti ideologicamente connotati, ma insegnare un metodo di ragionamento, sulle orme dei giganti del pensiero che ci hanno preceduti, fra i quali non annovererei l’onorevole Zan.

Faccio inoltre presente che la visione proposta dal ddl è in totale contrasto con la religione cattolica, tutelata nel nostro paese dai patti Lateranensi, e non può essere imposta nelle scuole dello stesso Stato che ha firmato quei patti.

Proposta pratica

Infine una piccola proposta pratica a costo zero: i musei e le mostre dovrebbero essere tutti gratuiti, almeno per i figli a carico. Così i film, almeno quelli prodotti con i contributi pubblici. Si tratta di attività per le quali un accesso maggiore non comporta aggravi, anzi magari un indotto: ci sono musei ai quali una famiglia come la mia, con quattro figli, non può accedere ogni volta che vuole. Andare al Colosseo a noi sei costa 54 euro, 64 la Galleria Borghese. Non si può fare sempre, quindi finisce che non andiamo, non consumiamo al bar, non compriamo la guida o il catalogo. Fare entrare i figli a carico (anche maggiorenni) non costerebbe niente alle casse pubbliche, e sarebbe un segnale importante. Qualcosa per dire a una famiglia che se porta i figli a vedere arte e cultura sta facendo un’opera che ha un valore per la collettività.

Perché a Londra la National gallery è gratuita per tutti, il Louvre a Parigi per gli under 25?

Nella stessa direzione andrebbe il riservare dei posti gratuiti sui treni di Trenitalia, ovviamente negli orari e nei giorni in cui i treni viaggiano semivuoti, ai figli che viaggiano con un genitore. Anche questo sarebbe a costo zero. A causa dei costi dei biglietti è impossibile per una famiglia numerosa a reddito basso o medio basso sostenere un viaggio, eppure anche questo sarebbe un segnale importante, per permettere di conoscere la nostra ricchezza a tanti ragazzi che non la possono mai vedere.

Fonte: il blog di Costanza Miriano