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Trento, orari flessibili per stare vicini alla famiglia

Trento, orari flessibili per stare vicini alla famiglia

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Un pc, una webcam, il trasferimento di chiamata dall’ufficio al computer di casa. Così Francesca Alioli, 39 anni, sposata e mamma di tre figli, ha mantenuto il suo posto di lavoro nell’amministrazione della provincia autonoma di Trento. Un’azienda pubblica in cui la nostra entrò quasi dieci anni fa. Ma da cui avrebbe rischiato di uscire nel 2012, alla nascita di Mattias, se il suo datore di lavoro non le avesse proposto la soluzione del telelavoro.  Francesca abita infatti a San Lorenzo in Banale, uno dei borghi più belli del Trentino, abitato da 1.200 anime. San Lorenzo dista da Trento circa 40 km. Una distanza che rischiava di essere proibitiva per la gestione dei suoi piccoli (con Mattias, anche Andrea di 8 anni).
Grazie al telelavoro, Francesca Alidoli ha mantenuto il contratto full time a tempo indeterminato con la Provincia, per la quale presta servizio da casa tre giorni a settimana, recandosi in ufficio negli altri due. Ha potuto occuparsi più e meglio dei propri figli. E ne ha messo al mondo un terzo, Tommaso, di tre anni. Ha avuto più tempo per sé stessa, ma ne ha restituito una parte alla collettività, impegnandosi negli organismi di partecipazione istituiti nelle scuole dei figli. Francesca – che presta servizio nell’ufficio pari opportunità – è stata una delle prime 25 dipendenti della provincia autonoma di Trento a sperimentare il lavoro da casa. Adesso le dipendenti che hanno seguito il suo esempio sono 410, ovvero il 10% della dotazione organica della Provincia. Una scelta adottata soprattutto da chi abita in zone montane, ha figli piccoli o anziani da badare. Ma, nel contempo, non intende rinunciare a una sola delle mansioni che il suo datore di lavoro gli ha affidato. Tra i dipendenti che hanno chiesto ed ottenuto di accedere al telelavoro, anche molti che prestano servizio nell’Agenzia per la famiglia, la natalità e le politiche giovanili.
Con il telelavoro, anche altre soluzioni sono state sperimentate dalla provincia autonoma di Trento per permettere ai propri dipendenti di lavorare per vivere e non di… vivere per lavorare. Tanto che – commenta Luciano Malfer, dirigente dell’Agenzia per la famiglia – tutti i dipendenti della provincia hanno un lavoro flessibile.  Un modello che qui chiamano Family audit e che è stato selezionato tra le nove good practice europee in ambito della conciliazione famiglia e lavoro da Eige, l’istituto europeo per le pari opportunità.  Ora che l’amministrazione provinciale ha dato l’esempio, vorrebbe che anche altri seguissero le sue orme. Il Family audit è un marchio depositato: ottenerlo sarà un passaggio obbligatorio per tutti quegli enti locali in corsa per la certificazione family in Trentino. Ma quel marchio sarà dato anche a tutti quei privati che, nel piano aziendale, avranno organizzato il lavoro dei loro dipendenti tenendo conto dei loro ritmi di vita, delle loro esigenze, della loro legittima aspirazione a starsene un po’ con il loro partner o i loro figli. Perché adottare forme di conciliazione lavoro – famiglia – commenta Chiara Martinelli, psicologa in servizio nell’agenzia per la famiglia, nostro cicerone, fa bene ai lavoratori ma anche all’azienda.
“Ai lavoratori perché diminuisce il loro stress psicofisico e migliora le loro relazioni in famiglia. All’azienda perché, in questo modo, incrementa la produttività, soffre meno per l’assenteismo, ha vantaggi fiscali, attrae maggiormente i talenti, ottiene visibilità in Italia e all’estero. E ha una corsia preferenziale quando si propone come fornitore di beni e servizi all’amministrazione provinciale e ai comuni amici della famiglia”.

Andrea Bernardini