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Se la famiglia fosse maggior ammortizzatore

Se la famiglia fosse maggior ammortizzatore

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LA CRISI OGGI SAREBBE MENO ASPRA

Secondo l’indagine annuale dell’Istat i consumi delle famiglie italiane ristagnano ormai da qualche anno e nel corso del 2007 sono diminuiti, al netto dell’inflazione, di circa l’1 per cento (in realtà, la diminuzione monetaria è maggiore, quasi il 2%, perché nell’indagine vengono inclusi anche gli affitti figurativi, aumentati del 4%). Inoltre, per le famiglie con un mutuo da pagare l’importo della rata rappresenta circa il 20% della spesa mensile e l’aumento recente dei tassi diminuisce ulteriormente il loro reddito disponibile.
È quindi evidente una stretta economica sul tenore di vita delle famiglie che, di fronte all’impennata dell’inflazione, il drenaggio fiscale e la riduzione del potere di acquisto, hanno reagito in tutti i modi possibili. Alcune spese sono state ridotte, come per libri e giornali, altre spostate in avanti nel tempo o eliminate, come l’abbigliamento e le calzature per donna, mentre laddove si trattava comunque di beni necessari, come nel caso degli alimentari, le famiglie hanno spostato le loro scelte di acquisto su beni di qualità inferiore o hanno razionato la quantità acquistata.
Inoltre, si è cercato di selezionare con maggiore frequenza quei canali distribuitivi che si caratterizzano per i bassi prezzi, come gli harddiscount.
La diminuzione di qualità, o il razionamento delle quantità acquistate, avviene per una quota superiore al 30% per i beni alimentari e al 60% per abbigliamento e calzature.
Tale comportamento poi si diffonde via via a molti altri beni e servizi. Un indice dei prezzi che tenesse conto della qualità, oltre che della quantità, avrebbe quindi registrato un aumento superiore a quello rilevato ufficialmente, e in ogni caso la diminuzione del tenore di vita delle famiglie è, alla luce di questi dati, particolarmente pesante, tenuto conto altresì del fatto che nel 2007 la crescita del Pil è stata del 2,7%. La situazione nel corso del primo semestre del 2008 ha ulteriormente accentuato i problemi appena evidenziati, come emerge dai segnali più recenti sulle vendite al dettaglio. Le famiglie continuano a reagire come possono all’ondata di aumenti di prezzi, ma qua e là si avverte il rumore di una frattura incombente, perché la congiuntura economica è molto seria e compare di nuovo la minaccia di una polarizzazione della società italiana, che prosciuga il suo ceto medio, ampliando la base dei redditi molto bassi e il tetto di quelli molto alti. Se mai ce ne fosse bisogno questi dati rinforzano l’urgenza di scelte economiche e politiche responsabili e attente alle ragioni dell’equità sociale, sia verticale che orizzontale.
Se già si disponesse di un sistema fiscale basato sul quoziente familiare, previsto dal programma dell’attuale governo, non solo si realizzerebbe una maggiore equità orizzontale, ma si otterrebbe un governo più efficace della politica fiscale, poiché essendo la famiglia la fondamentale unità decisionale di spesa, la risposta dei consumi alle variazioni del reddito disponibile sarebbe più stabile e prevedibile.
Con questa premessa, il perno della politica fiscale non può che essere l’effetto combinato di una riduzione della pressione fiscale e del tasso d’inflazione: in entrambi i casi è indispensabile un circolo virtuoso fra famiglie e imprese. Di un’economia trainata solo dalle esportazioni e dalla globalizzazione finiscono per beneficiare solo le medie e grandi imprese, lasciando alle piccole poche briciole. Il sistema delle piccole e medie imprese, però, è il cuore della nostra economia e la gran parte di queste vivono della domanda interna e quindi del potere di acquisto delle famiglie italiane.
Tuttavia il Dpef recentemente approvato prevede per il prossimo triennio solo una marginale riduzione della pressione fiscale, il che rischia di consolidare gli squilibri che questi dati già evidenziano in modo chiaro.
Forse è il caso di ragionare più a fondo sulle opzioni possibili per risolvere i problemi del Paese.
Luigi Campiglio, Avvenire