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Omofobo a chi?

Omofobo a chi?

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Mi è capitato durante un viaggio sul treno veloce tra Milano e Roma, di vedere un uomo di sessanta anni circa, italiano, probabilmente meridionale a giudicare dall’accento, che si rivolgeva a un altro uomo di quaranta-quarantacinque anni, seduto dall’altro lato del corridoio, per chiedergli in modo garbato di abbassare il volume della voce, dato che stava conversando al telefono in modo chiassoso.

L’interpellato, indubbiamente extracomunitario per accento e tratti somatici, e come dal seguito della vicenda inequivocabilmente emerge, dopo aver tentato di liquidare la questione con un “faccio quello che mi pare, tu fatti gli affari tuoi”, dato che il primo uomo insisteva, sempre garbato ma determinato, facendo notare che lo stesso regolamento di viaggio del treno richiede un volume moderato di telefoni e conversazioni per non disturbare gli altri viaggiatori, ha cambiato strategia e alzando molto il volume della voce ha detto: “mi stai trattando così perché sono straniero! Tu ce l’hai con me perché sono straniero!”. E subito urlando a pieni polmoni ha continuato a ripetere all’indirizzo del primo: “Razzista! Razzista! Razzista!” strillandolo almeno una decina di volte. A quel punto c’erano non più di cinque o sei persone che sapevano cosa fosse successo, e almeno cinquanta persone nel vagone convinte di viaggiare loro malgrado in compagnia di uno schifoso, e chissà se pericoloso, razzista.

Il percorso che porta all’omofobia conclamata è identico nella sostanza, pur basandosi su una tattica più elaborata e meglio strutturata: basta fare una affermazione positiva in difesa della famiglia o del matrimonio, perché certi militanti prontamente, così prontamente che è legittimo pensare abbiano organizzato turni per le pause, la impugnino per travisarla, caricandola di un significato che non aveva assolutamente, strumentalizzandola a danno di chi l’ha pronunciata e dei valori che voleva sostenere.

-Il matrimonio è un fondamento della società.
-Quindi secondo te se due non sono sposati la società dovrebbe isolarli perché minacciata ?!?
-Ma no! Mica ho detto quello, però tra i pilastri su cui poggia una società l’unione “per sempre” di un uomo e una donna è in primo piano.
-Allora sei un bigotto, e forse anche fondamentalista: se due persone non sono credenti non dovrebbero mettere su famiglia e avere figli?
-Ma certo che possono! “Per sempre” non si riferiva necessariamente a una idea religiosa di matrimonio che in ogni civiltà, anche quelle non ispirate al cristianesimo, non è mai stato pensato con una data di scadenza, così lo ha recepito anche lo Stato quando è nato il matrimonio civile: un uomo e una donna che si uniscono senza porre un termine.
Mi riferisco qui agli stati moderni, lasciando aperta la questione se in antichità si sia originato prima l’istituto religioso o giuridico in quanto poco rilevante in questo caso.
-Quindi per te due persone dello stesso sesso non possono amarsi! Non possono desiderare di vivere insieme!
-Ma si, può essere, ma il matrimonio è un’altra cosa.
-Perché? Decidi tu cosa è il matrimonio? Decidi tu in che modo le persone devono volersi bene?
-No, però… tanto per cominciare due omosessuali non possono avere figli.
-Bravo! Meglio lasciare tanti bambini negli orfanotrofi anziché affidarli a chi gli darebbe amore e cure, pur di non farli avvicinare a persone gay.
Non sto dicendo che i bambini sono felici negli orfanotrofi, ma che hanno bisogno di un papà e una mamma.
Me lo immagino… ne conosco di famiglie dove il marito picchia la moglie o va a prostitute mentre la moglie ha l’amante. Come si fa a dire che sia preferibile a una famiglia omosessuale dove i due partner si rispettano e si vogliono bene? Come puoi essere così intollerante e omofobo?

Così, facendo una constatazione sul valore del matrimonio ci si trova sul banco degli imputati tra i peggiori bruti.
La cosa che salta all’occhio in questi discorsi, è che mentre si cerca di fare affermazioni di principio, che valgano in generale, dall’altra parte si ribatte con esempi limite, ma non si può fondare una norma sulle eccezioni che devono esserne invece i casi particolari. Mentre si vuole argomentare cercando un confronto ragionevole, spostano il problema e cambiano di fatto l’argomento da discutere, facendo sembrare il percorso della ragione inconcludente; si cerca di fare affermazioni positive strutturate e ben motivate, e ci si trova nella condizione di chi deve giustificarsi per tesi che non si sarebbe mai nemmeno lontanamente sognato di pronunciare; a volte, infine, mentre ci si esprime civilmente si viene apostrofati in modo brusco da persone arroganti.

Quando si dice che un bambino ha bisogno di un padre e una madre per crescere bene, nessuno sta autorizzando i padri a picchiare le madri davanti ai figli, non c’è proprio in nessun possibile significato recondito dell’affermazione; eppure spesso negli interventi successivi si pretende aperta quella interpretazione e ci si trova a discutere di violenza domestica che, per quanto tragica ed esecrabile, è inequivocabilmente un caso particolare e patologico della relazione di coppia. Credo si possa concordare sul fatto che dire “in ogni famiglia vi sono difficoltà, a volte grandi, nella relazione tra i coniugi” è tutt’altro che dire “in ogni famiglia il padre picchia la madre”, ma stranamente nella mente di qualcuno la verità della prima affermazione autorizza a generalizzare ogni sviluppo ipotizzabile, quasi che in ogni famiglia basti trovare la molla giusta da fare scattare ed ecco che il marito prontamente si avventerebbe sulla moglie per percuoterla, quando nella realtà l’uomo, proprio perché uomo, trova infamante anche solo l’idea di alzare le mani su una donna. (Devo ricordare di nuovo che tralascio i casi particolari, numericamente trascurabili e privi di rilevanza in questo caso?). Stesso discorso per analoghi ragionamenti, magari basati su fallacie meno evidenti ma non meno errati.

Tornando alla questione omofobia, a causa delle fallacie argomentative in cui si cade, questo modo di procedere nella discussione, in cui una tesi viene contestata facendo ricorso a casi particolari che spostano l’ambito del problema, chi sostiene la tesi iniziale sembra comunque in difficoltà: se rinuncia a inseguire gli interlocutori sui nuovi temi proposti, dato che questi sono solitamente casi di ingiusta discriminazione e intolleranza rischia di sembrare conciliante se non favorevole a comportamenti violenti; se invece si addentra nella discussione degli esempi di discriminazione e intolleranza, l’inevitabile ovvio consenso sui casi particolari usati per confutare la tesi di partenza, sembra indicare che si riconosca un errore nella affermazione iniziale.

Ma i nuovi temi sono fuori contesto e i casi particolari per definizione non generalizzabili. Riconoscere che ci sono coppie capaci di amarsi al di fuori di schemi istituzionalizzati non svuota il ruolo sociale del matrimonio; piuttosto, se questo ruolo sociale esiste, adoperarsi per moltiplicare a dismisura le eccezioni può solo indebolire il tessuto sociale, con conseguenze che non sono state indagate in anticipo. Che esistano casi di bambini maltrattati in famiglia o cresciuti al di fuori di essa, non dice assolutamente nulla in favore o contro il ruolo di un padre e una madre per la maturazione di una persona, e se tale ruolo riveste una qualche importanza, non si possono improvvisare e sperimentare forme di allevamento alternativo dei bambini senza rischiare di produrre danni devastanti su chi è più indifeso

Come se non bastasse, il termine “omofobia” è stato caricato di una gamma di significati che vanno dall’aggressione violenta di persone con tendenze omosessuali fino al semplice dissentire dalle idee sostenute negli ambienti LGBT. Non si tratta però di significati diversi veicolati dalla stessa parola: nella mente di chi ha coniato questo termine e ne detta l’utilizzo, tutti i significati intesi, tutte le azioni e le manifestazioni del pensiero etichettate come omofobe sarebbero accomunate dalla stessa insofferente avversione per chi è omosessuale. L’idea che si vuole suggerire in questo modo è che se io non condivido anche solo una tesi dell’ideologia LGBT è perché sono animato dallo stesso sentimento che porta alcuni fino ad aggredire fisicamente.

Chi è disposto a un confronto franco e intellettualmente leale, non fatica a capire che opporsi alle idee con idee richiede abilità e maturità dialettiche che sono in un altro mondo per chi pratica la violenza fisica, che le aggressioni effettivamente annoverate in cronaca sono opera di bulli e teppisti imbrancati, i quali approfittano dell’incontro con l’omosessuale per fare esplodere un disagio che deflagra allo stesso modo con tanti altri pretesti.

Omofobia è la parola d’ordine per guadagnare consenso all’agenda LGBT e si tratta di una strategia decisamente indovinata: il ruolo della vittima produce empatia e suscita comprensione, al punto da riscattare anche il senso di disgusto generato dal pietoso carrozzone “gay pride”. Ma l’idea di omofobia onnicomprensiva non ha senso e non regge alla prova dei fatti, tant’è che per giustificare inevitabili differenze di vedute tra gli stessi omosessuali hanno escogitato la forma “interiorizzata” dell’omofobia; praticamente un modo per dare dell’omofobo anche agli omosessuali, quando non sono allineati al pensiero unico LGBT.

Nonostante l’abile uso fattone, la parola “omofobia è problematica a cominciare dal significato etimologico, indica infatti una paura cui è più connaturale una fuga che non una aggressione, difatti negli ambienti LGBT hanno cominciato a sostituirla con “omonegatività”, anch’essa rigorosamente interiorizzabile.
Tenuto conto che nei casi visti prima il linguaggio viene piegato dalla dialettica per giustificare idee preconcette, nessuno può essere accusato di disprezzare o avversare gli omosessuali solo perché afferma che il matrimonio ha senso unicamente tra un uomo e una donna o che i bambini per crescere bene hanno bisogno del papà e della mamma.
Per accusarci di essere condizionati da stereotipi di genere ci giudicano in base a stereotipi etici. Non siamo disposti ad accettarlo. Non siamo omofobi.


di Andrea Piccolo

mail: pavia@famiglienumerose.org