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Le mosche bianche

Le mosche bianche

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Dalle serate passate tra birra e patatine, in albergo a Rimini, è emerso qualcosa. Noi non siamo come tutti gli altri. Andrea sostiene che sia indicato denominarci “mosche bianche”, Matteo afferma che questa diversità abbia sostanzialmente fondamento nel differente modo di affrontare la vita che hanno le nostre famiglie, che, molto spesso, affondano le loro radici nella fede cattolica. Io penso che si, realisticamente parlando, questo possa essere un motivo sufficiente.
Mi chiedo però quanto conti l’aver passato i primi venti anni della tua vita in una famiglia numerosa, senza aver mai avuto una camera propria, senza aver potuto pretendere i tuoi spazi in modo incisivo, facendo sempre i conti con la necessità della partecipazione attiva alle attività della casa. Mi sono risposta che bamboccioni non saremo mai, almeno noi, mai. La famiglia numerosa ci spinge inevitabilmente, e molto spesso con poca nostalgia, verso il mondo esterno, verso quello del lavoro, della maturità. Non perché ci rigetti, ma perché viviamo così intensamente la comunità familiare che ne usciamo “pieni”, consci del fatto che adesso spetti a noi responsabilizzarci per noi stessi.
E, ironia della sorte (si fa per dire), l’abitudine alla convivenza affollata ci rende più disponibili verso gli altri. Peccato, non avremo mai quell’attimo di tranquillità.
Mi piace tutto questo, mi piace il non saper rispondere quando altri mi dicono che le famiglie numerose avrebbero dovuto pensarci prima a fare meno figli, piuttosto che chiedere diritti dopo. Mi piace perché capisco che la ricchezza che questa esperienza mi ha dato è incomprensibile per gli altri e che lo sarebbe stato anche per me, se non l’avessi vissuta. Mi piace perché, a quel punto, ne capisco il valore.
Anna Sbolci

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