• it
Lavoro ai giovani, primo passo per la Natalità

Lavoro ai giovani, primo passo per la Natalità

461 views
Condividi
Povertà Giovani

Ci sono dei dati singolarmente eclatanti, che, se messi in relazione tra di loro, ci forniscono un quadro estremamente chiaro, che paradossalmente nessuno ha ancora evidenziato nella giusta misura.

Partiamo dal primo elemento
Il tema della denatalità, delle sempre minori nascite, del progressivo invecchiamento e riduzione della popolazione, è un tema ormai assodato, su cui l’Associazione Nazionale Famiglie Numerose ha cominciato a parlarne sin dalla sua costituzione, nel 2005.
Solo ora se ne comincia a prendere percezione, ma mancano ancora delle risposte forti, quel ‘Piano Marshall’ assolutamente necessario per far ripartire la natalità.

Nel frattempo, ogni anno i dati sulle nascite continuano a peggiorare.

Anche sul secondo elemento, relativo alla povertà delle famiglie con più figli e alla povertà generazionale che contraddistingue i giovani, Anfn aveva segnalato già nel 2016 nell’articolo La Ri-Nascita dell’Italia: Figli, Giovani e Famiglia, come la fascia di età 0-34 anni si sia progressivamente impoverita a scapito della generazione over 65.
I più poveri in Italia risiedono proprio nella fascia di età più giovane. Questi concetti sono stati ribaditi nell’intervento, denominato “
Relazioni tra povertà e demografia e possibili interventi”  del 14 luglio 2021, in occasione del seminario sulla questione demografica, organizzata dall’Osservatorio Nazionale sulla famiglia. 

Le stesse conclusioni le trae Openpolis nell’articolo pubblicato il 14 dicembre 2021.

Arriviamo ora al terzo elemento, partendo sia dalla pubblicazione dell’Istat del 23 dicembre 2021 sull’occupazione giovanile, ma soprattutto dall’intervista rilasciata al Sole 24 Ore lo scorso 6 gennaio dal commissario UE all’economia, Nicola Schmit, in cui si evidenzia la situazione critica dell’Italia, che ha tra i peggiori valori UE in quanto ad:

– occupazione delle donne

– percentuale di coloro che abbandonano prematuramente gli studi

– quota di NEET (coloro che non studiano, non sono in formazione e non lavorano)

– tasso di disoccupazione

– livello di abbandono scolastico

– livello disponibile pro capite,

con il paradosso di una carenza di manodopera, nonostante la disoccupazione giovanile al 30%.

In sintesi, in un contesto europeo che già ci vede con la più bassa percentuale di giovani in Europa, come evidenzia questo grafico dell’Eurostat:

i nostri giovani sono in buona parte disoccupati, poco formati, sottopagati (hanno gli stipendi tra i più bassi in UE), e con i contratti meno stabili, come riportato dall’articolo di Avvenire in cui viene evidenziato che un contratto a termine su tre non supera il mese, quasi due su tre non superano i 6 mesi, mentre meno di uno su 100 supera l’anno di durata.

Come riassunto efficacemente da Alessandro Rosina nel suo articolo del 7 gennaio, dobbiamo mettere le nuove generazioni in condizioni di contribuire maggiormente allo sviluppo economico del nostro Paese, anziché spingerli a trovare lavoro all’estero, come spesso succede.

Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova’, citava la scrittrice Agatha Christie.

Da questi tre elementi, possiamo enunciare che uno dei principali nodi da sciogliere (se non il principale) per invertire la drammatica spirale di denatalità in cui siamo entrati, parte proprio dal lavoro ai giovani, che riesca a garantire:

  • piena occupazione giovanile
  • una adeguata retribuzione
  • una stabilità e continuità nel tempo.

Guarda caso, queste erano le caratteristiche che ha caratterizzato gli anni del baby-boom (fine anni ‘50, anni ‘60, inizio anni ‘70).

Con queste garanzie lavorative, unitamente ad una casa che sia accessibile economicamente, i nostri giovani potranno finalmente costruire un progetto di vita, una famiglia, presupposto fondamentale per la nascita dei figli.

Il primo importante passo per un Piano Nazionale di Rilancio della Natalità.

In un contesto come quello attuale, caratterizzato dalla globalizzazione economica e dal crescente impatto della robotica e dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro, come è possibile intervenire sul tema del lavoro ai giovani?

La soluzione potrebbe essere quella di intervenire su due livelli.

Sul primo livello, dobbiamo mettere i giovani in condizione di inventare un nuovo lavoro, per lo sviluppo competitivo del paese.

Sarà quindi necessario avvicinare sempre di più il mondo del lavoro a quello della scuola, dell’Università e degli Enti di Formazione, affinché i giovani possano individuare sin dalle scuole medie inferiori un percorso scolastico che abbia uno sbocco professionale. Allo stesso tempo, le aziende potranno trovare personale specializzato e tecnicamente preparato per affrontare le sfide competitive del mercato.

Sul secondo livello, andrebbe previsto un importante intervento da parte dello Stato affinché una parte di giovani si occupi di quei lavori di relazione, che una intelligenza artificiale o un robot non potrà mai garantire, finalizzati a garantire il benessere sociale.   

Si potrebbe ipotizzare una sorta di ‘lavoro di cittadinanza’ per i giovani, con lavori socialmente utili a supporto di comuni ed enti locali anche attraverso il coinvolgimento delle associazioni e delle cooperative sociali.

Pensiamo ad esempio ad attività che riguardino gli anziani, la sanità, il decoro urbano, l’ambiente, la scuola, e tutto quello in cui ci sono relazioni.

I fondi potrebbero essere in buona parte recuperati sia dal Reddito di Cittadinanza, che ovviamente non spetterebbe più a questa categoria, sia dai fondi destinati dalla Pubblica Amministrazione a copertura dei servizi che sarebbero coperti dal lavoro di cittadinanza.

Una remunerazione adeguata del lavoro di cittadinanza dovrebbe essere pari ad un salario minimo, non ancora presente in Italia ma presente in buona parte dei paesi Europei; sulla base dei salari minimi orari previsti nel nostro paese, differente per categoria, potrebbe oscillare tra i 1.000 e i 1.300 euro al mese.

In questo modo verrebbe indirettamente introdotto anche in Italia il salario minimo garantito, che dovrebbe consentire il superamento dello sfruttamento salariale di alcune categorie lavorative.

Il lavoro di cittadinanza potrebbe essere esteso, sempre per favorire la natalità e per salvaguardare i nuclei con figli, anche ai genitori disoccupati con figli minori a carico.

Queste sono ipotesi di discussione; è importante tuttavia che il tema venga affrontato urgentemente, attivando i fondi previsti dal PNRR, e coinvolgendo attorno ad un tavolo tutti gli attori potenzialmente interessati: Governo, Industriali e Associazioni di categoria, Sindacati, Scuola e Università, e le Famiglie, attraverso il Forum delle Associazioni Familiari e l’associazionismo familiare.

In questo modo, potremo finalmente aiutare i nostri ragazzi a superare la logica dei tre mesi di contratto rinnovabili proposti dalle aziende, e ad invertire il trend dei percorsi professionali seguendo una logica di reale valorizzazione delle competenze e non di mero sfruttamento.

Come oggi, purtroppo, accade. E facciamo finta di non vedere.


Alfio Spitaleri