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ISEE: IL VERO COSTO DI UN FIGLIO

ISEE: IL VERO COSTO DI UN FIGLIO

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Quanto costa un figlio? Non in termini di amore, tempo, sacrifici, ma proprio dal punto di vista economico?
Molto, risponderebbe qualsiasi genitore. Tranne, evidentemente, quelli che nel frattempo sono diventati parlamentari o ministri. È questa la prima, desolante considerazione che viene alla mente dopo aver visto il decreto, approvato martedì scorso, con cui il governo ha riformato l’Isee, ovvero lo strumento che misura la situazione economica delle famiglie per regolare l’accesso ai servizi e alle prestazioni sociali agevolate. Ci sarebbe anche una seconda domanda da fare ai nostri legislatori – “Quanto costa un disabile in famiglia?” – ma per esigenze di brevità soffermiamoci sulla prima.
L’Isee funziona in maniera semplice: si sommano tutti i redditi familiari e si divide il totale per il numero di componenti, secondo una scala di equivalenza. Ecco allora la risposta alla domanda iniziale: secondo i nuovi parametri, un figlio unico “costa” poco meno della metà di un componente adulto, per l’esattezza il 47 per cento. I suoi fratelli “costano” ancora meno, fino ad arrivare al 35 per cento dal quinto figlio in poi. Insomma, due figli pesano sul bilancio familiare meno di un solo genitore. Ora, sarà anche vero che “dove si mangia in due si mangia anche in tre”, ma chi è vissuto in una famiglia numerosa sa che le cose nella vita reale non vanno sempre esattamente così: perché anche se qualcosa si risparmia riutilizzando i vestiti dei fratelli o scegliendo al supermercato le confezioni più grandi, la scuola, la sanità e tante altre spese non conoscono economie di scala. Lo sa anche l’Istat, che infatti nelle indagini sulla povertà da anni applica il modello matematico inverso: se il primo figlio “costa” metà di un adulto, il secondo pesa per il 62 per cento, il terzo per il 78 e così via. Possibile che il governo non ne tenga conto?
I lettori ci scusino l’aridità di tante cifre, su cui torneremo la prossima settimana con un ampio approfondimento. Il succo della questione è semplice: se i modelli di calcolo non tengono conto del reale peso sul bilancio familiare dei nostri figli, le famiglie numerose finiscono per essere svantaggiate nell’accesso ai servizi pubblici (asili, mense, case popolari, università e via elencando) perché ci sarà sempre chi sembrerà più bisognoso di sostegno agli occhi disattenti dello stato. Bene allora rendere più efficaci i controlli per evitare lo scandalo dei “finti poveri”, bene considerare accanto ai redditi anche le case e i conti correnti. Ma la prima misura di giustizia rimane quella di riconoscere il vero costo dei nostri figli e il vero, straordinario contributo che le famiglie danno alla società. Speriamo che prima o poi anche il governo se ne accorga.

Guglielmo Frezza

www.difesapopolo.it