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I GIOVANI, LA GRECIA E LA CRISI DEMOGRAFICA

I GIOVANI, LA GRECIA E LA CRISI DEMOGRAFICA

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In Italia diminuiscono i giovani ma quelli che rimangono hanno difficoltà a trovare lavoro. In Spagna la disoccupazione giovanile tocca punte del 45%, giovani e precari occupano la Playa del Sol di Madrid. La Grecia è sull’orlo del crack finanziario.
Tante facce di una crisi che investe tre dei paesi con i tassi di natalità più bassi in Europa. L’articolo del prof. Blangiardo e l’intervista a Gotti Tedeschi hanno un minimo comune denominatore: la denatalità. L’Europa (almeno, certa Europa) è in crisi perchè non fa più figli. Per i giovani che restano, e che sempre di meno resteranno a supportare la sempre più ampia fascia di anziani, non riimane che alzare la voce?

Se l’inverno
demografico
colpisce
i giovani

Gian Carlo Blangiardo da L’Eco di Bergamo
«Può darsi che i giovani non abbiano tutte le virtù degli anziani, ma ne hanno una che vale tutte le altre e cioè che un giorno ne prenderanno il posto». Ecco una citazione che risale a quasi mezzo secolo fa, ma che sembra particolarmente interessante proprio alla luce dei più recenti dati statistici sul calo delle leve giovanili e, di riflesso, sui cambiamenti nella struttura per età della popolazione italiana che introducono importanti trasformazioni in molti campi della vita delle persone e dell’organizzazione sociale: dal mercato del lavoro agli equilibri di Welfare, sino ai percorsi e agli eventi che accompagnano il ciclo di vita familiare. In realtà, più che sulla carenza di giovani, sino ad ora il dibattito si era quasi sempre indirizzato sull’eccesso di anziani, dimenticando talvolta che gli uni e gli altri sono due facce di quella stessa medaglia che ha un nome ben preciso: invecchiamento demografico.
D’altra parte, senza nulla togliere alle problematiche derivanti dalla forte crescita del contingente di anziani, non si può certo dimenticare che il declino numerico dei giovani negli ultimi due-tre decenni – sostanzialmente dovuto al progressivo calo delle nascite che ne ha segnato l’ammontare sin dall’origine – si è anch’esso sviluppato con dati particolarmente drammatici. Basti pensare che i residenti 15-34enni erano quasi 18 milioni nel 1991 e sono scesi a poco più di 15 dieci anni dopo, per spingersi ancora più giù sino ai 13-14 milioni conteggiati alla fine del 2010. Un totale che, va sottolineato, si regge anche grazieal contributo di oltre un milione e mezzo di coetanei stranieri, un collettivo la cui dinamica, viceversa assolutamente in crescita, ha mostrato negli ultimi sette anni un aumento di circa un milione di unità. Ma se è innegabile che il recente passato dell’universo giovanile sia stato all’insegna del regresso demografico, è altrettanto vero che anche i segnali per il futuro non sembrano particolarmente confortanti. Le previsioni demografiche ipotizzano infatti l’ulteriore discesa dai 13,5 milioni di 15-34enni del 2011 ai 12,5 milioni del 2031, in un panorama ventennale che pur registrerebbe l’ulteriore incremento di 600 mila unità relativamente alla componente dei giovani stranieri.
In conclusione, va preso atto che il ribaltamento della cosiddetta piramide demografica, ossia il passaggio da una società con molti giovani e pochi vecchi a una società con molti vecchi e pochi giovani, si presenta in Italia come fenomeno ineluttabile e con toni più marcati che negli altri Paesi europei. Ma al di là dei dati numerici, occorre prendere anche consapevolezza del significato sociale, culturale e politico di questo cambiamento, i cui effetti si fanno già sentire, e più ancora si faranno fortemente sentire in futuro, sulle politiche di Welfare e sulla stessa dialettica democratica. Non vi è dubbio che in una società che invecchia prevalgano inevitabilmente le spinte più conservatrici e che, a lungo andare, il conflitto tra il solido esercito degli gli anziani e il sempre più sparuto drappello dei giovani potrebbe diventare esplosivo, magari nel fronteggiare dilemmi del tipo: salvaguardia delle pensioni o investimento nella creazione di nuove opportunità di lavoro?
Anche perché, al noto disinteresse per la famiglia – in genere penalizzata dalla messa al mondo dei figli – si aggiungono le storiche precedenze che le nostre politiche pubbliche accordano a coloro che, come si dice, sono già dentro al mercato e al Welfare, (lavoratori e anziani), senza curarsi troppo di chi invece sta ancora «fuori» (per lo più i giovani). Con queste premesse, sembra doveroso non sottovalutare i pericoli che la denatalità – quella del passato così come del futuro – potrebbe generare anche sul piano della cultura e delle istituzioni democratiche. Perché se è vero che in democrazia le decisioni vengono prese in base al principio di maggioranza, è anche vero che una equa democrazia ha bisogno di assetti demografici bilanciati. Il rischio ultimo – da scongiurare – è che il cosiddetto «inverno demografico» possa diventare anche «inverno della democrazia».
Gian Carlo Blangiardo


http://www.avvenire.it/Economia/intervista+gotti+tedeschi+borse_201105210640520430000.htm