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figli, roba da matti

figli, roba da matti

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Grande risalto sulla stampa per un libro francese, NO KID, di Corinne Maier che “rompe il tabù della maternità” (perché, ce n’era uno?)
FIGLI, UNA COSA DA MATTI
SE la signora Maier non fosse presentata come “psicologa”, non ci saremmo presi la briga di aggiungere parole allo spazio che la stampa dedica al suo libro.
Tanto più che un libro più o meno uguale, “Bambini non a bordo” dell’americana da Jennifer L. Shawne, era stato recensito anche sul nostro sito qualche mese fa.
Non avendo l’originale sottomano, potremo sbagliarci ma le argomentazioni avanzate da questi due testi “childfree” (liberi dai figli)sono sempre le stesse: chi ce lo fa fare, i figli sono un impaccio, un peso, la vita diciamo sentimentale va a rotoli, aumentano le preoccupazioni, le mamme si trasformano in dispensatrici di cibo, i padri se la svignano. Meglio senza, si vive meglio e ce la si spassa.
La giornalista del Times che con un’intervista particolarmente benevola ha reso famoso il libro fuori dalla Francia (dove le lobbies statali tramano incentivi perché si facciano più figli e si riporti il Paese in testa ad almeno una classifica, quella delle nascite) dice di essersi fatta più di una risata. E questo dello scherzo innocente, guarda caso lo stesso “alibi” della childfree americana, potrebbe essere anche credibile se l’autrice non fosse una madre e per di più, come si diceva, psicologa.
Per essere una persona che ha studiato e si è persino laureata in psicologia c’é da chiedersi: ma chi le ha dato la laurea? Cosa penseranno di tante buffe carinerie le figlie adolescenti dell’autrice quando gli capiterà di leggere qualcosa oltre Harry Potter? Quando scopriranno che la loro madre le ritiene responsabili di tortura da parto, isolamento sociale, di averle rovinato la vita affettiva, di essersi sentita un’idiota coccolandole e mortalmente annoiata rimanendo a casa con loro. Loro, colpevoli di svegliarla di notte, di avere fatto fuggire il padre, di averla obbligata a una vita meschina di rinunce.
Ma questi sono fatti suoi che non le invidiamo, come non le invidiamo l’evidente livore che traspare da molte delle sue parole.
Piuttosto, ci chiediamo come una persona di cultura possa allineare tante banalità: i figli costano, le famiglie sono un incubo, ci sono già troppi bambini sul pianeta (troppi? Iniziamo a eliminarne qualcuno, magari i suoi? E chi decide chi è di troppo? La signora Maier? Complimenti per l’onnipotenza).
Ah, la bella vita del single, della coppia piena di soldi e nessun pensiero: cara signora si aggiorni, magari leggendo l’impressionante documento riportato sul sito dell’Elfac (The war between the state and the family, di Patrcia Morgan dell’Iea) che comprova il solido legame, favorito dallo stato, tra povertà, solitudine e sgretolamento delle famiglie. Altro che bella vita.
La signora Maier é una psicologa, quindi, volente o nolente, un punto di riferimento con non poche responsabilità: e se qualcuno, data la professione, la prendesse sul serio?
A ben leggere però, il suo ci sembra un tremendo, rabbioso e lacerante grido di aiuto, da parte di una persona che, senza l’appiglio di una fede, di una famiglia o di un compagno, vede il mondo affondare nel nulla, insieme alle speranze dell’infanzia e alla felicità dei figli e dei figli dei figli.
A questa signora Maier noi diciamo: venga a trovare una delle nostre famiglie. Qui i bambini non sono troppi perché ognuno è unico e insostituibile; qui il padre c’è perché ha costruito un progetto importante in cui crede e a cui si aggrappa nonostante le inevitabili crisi. Qui gli amici si moltiplicano per il numero dei figli e i costi si abbassano, non tanto per l’economia di scala sui cui si basa l’Ise, ma perché si punta all’essenziale e un computer può bastare per sei (per buona pace del consumismo di cui ci accusa).
Qui la vita a volte diventa un incubo perché non si sa come pagare bollette inique e le mamme sono sole con le loro fatiche (lei, con i suoi soldi dei suoi libri, non può permettersi una cameriera? Risolverebbe molti dei suoi problemi). No, non ci può chiamare conformisti: perché allora la gente si girerebbe a guardarci e ci farebbe sempre la solita domanda: “Tutti vostri?” se fossimo così uguali tra gli uguali?
Venga a trovarci e ci aiuti piuttosto a costruire un mondo dove una donna non debba scegliere tra i figli e la carriera, dove il carico e la fatica siano condivise, sopportate e alleviate nell’amore di padre e madre, con il supporto di tutti, dallo Stato in giù. Perché non sia solo dolore sognare la felicità per i nostri figli, sapendo che comunque la felicità non è certo un viaggio alle Maldive o un film visto a mezzanotte.
Un posto da noi lo troverà sempre, mi sa che una vacanza le farebbe davvero bene.

IN allegato, uno degli articoli sulla notizia
http://qn.quotidiano.net/2007/08/20/31745-figli_ecco_motivi_averli.shtml

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